domenica 24 febbraio 2008

Un'orchestra

Ieri sera s'è visto qualcosa di più di una squadra di basket. Montegranaro non perdeva in casa da una vita, ed era seconda in classifica. Noi in trasferta fatichiamo. Il primo tempo è stato bruttino, loro hanno trovato punti con Jobey Thomas (eccezionale su un Monroe bravo a capire che era dannoso forzare) e con Minard. Noi ci siamo affidati a un Rocca dominante ed è stato bravo Flamini a fare 4 punti in un momento di difficoltà offensiva.
Il terzo quarto è stata una cavalcata: ci sono entrati i primi tiri da 3 (Blums, Jones, Thomas). Parziale di 34-17. Rocca ha continuato a umiliare Ford (in formissima fino a ieri, e a 20" dalla fine aveva segnato solo 3 punti), Flamini ha avuto momenti da Dea Kali per la quantità di palle sporcate e recuperate.
Io continuo a guardare dietro, ma molto più a cuor leggero. E una sbirciata davanti ogni tanto si può anche fare. Temo, però, la partita di sabato con Varese, ultima in classifica. Non vorrei che ci rilassassimo e che ci facessimo sorprendere in casa.

giovedì 21 febbraio 2008

Un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera rinfresca un po' la memoria ai lettori e, soprattutto, alle istituzioni sulla situazione rifiuti in Campania. Stella torna all'epidemia di colera che sconvolse Napoli 35 anni fa. Va anche a ripescare alcune frasi di Matilde Serao del 1884 (milleottocentoottantaquattro!). E' l'ennesima dimostrazione che la crisi dei rifiuti campana non è un problema solo attinente alla regione (e a tal proposito prima o poi vi posterò una mini-inchiesta sulle ecomafie), e che soprattutto la volontà di risolverla è pari a zero.
Dalle viscere puzzolenti delle discariche campane, insieme con i rifiuti tossici, continuano a uscire sorprese. Come una lontana legge regionale che, dissepolta, fa retrodatare l'emergenza spazzatura al 1973: cioè 35 anni fa. E indovinate da cosa era stata motivata, quella legge? Dal colera e da una rivolta a Pianura. Prova provata che il nostro è un Paese più smemorato dello smemorato di Collegno. Quanto siano lunghi trentacinque anni è facile da dirsi. Ne bastarono ventuno a Gengis Khan per unificare le tribù mongole, trascinarle alla conquista dell’Asia, arrivare ai Balcani e fondare il più grande impero della storia. Ne bastarono ventisette a Wolfgang Amadeus Mozart, morto appunto trentacinquenne, per scrivere 22 opere liriche, 12 opere sacre, 17 sinfonie e un’altra infinità di concerti e sonate e duetti. Ne bastarono 32 a Pio IX per marcare il pontificato più lungo dopo San Pietro. Bene, in quel lontano 1973 in cui erano ancora vivi Julius Evola e Aldo Palazzeschi, Beppe Savoldi vinceva la classifica marcatori davanti a Paolino Pulici e a Sanremo trionfava Peppino Di Capri, Napoli venne colpita dal colera.

Era la fine di un agosto torrido. Il presidente del Consiglio Mariano Rumor declamava che i problemi del Mezzogiorno erano al primo posto nella sua agenda, le cozze morivano asfissiate negli allevamenti legali e in quelli abusivi, la città non aveva ancora smaltito la rabbia che a metà luglio, nell’incubo d’una crisi energetica, aveva scatenato addirittura una serrata dei panificatori seguita da medievali assalti ai forni. E quando furono segnalati i primi due morti dilagò il panico. Il 30 agosto i decessi erano già sette, i ricoverati negli ospedali oltre centocinquanta, gli americani cominciavano a vaccinare la gente con enormi siringoni. E mentre nel resto d’Italia gli anti-democristiani sorridevano del fatto che per l’Organizzazione mondiale della sanità l’epidemia era causata da un vibrione di tipo Ogawa (con immediato gioco di parole su quello che era allora il viceré doroteo: «’o Gava») in città e nei dintorni divampava la protesta con guerriglia nelle strade, incendi, attacchi alle farmacie.

Ed ecco infine arrivare le prime disposizioni igieniche: vietato vendere frutti di mare, vietato fare il bagno lungo tutto il litorale, vietato abbandonare l’immondizia per strada. I giornali, memori di quanto era accaduto nella storia, ripubblicavano le cronache della spaventosa epidemia di colera del 1884 (settemila morti) e di quella ancora più apocalittica del 1836/1837, quando le vittime erano state 18 mila. Il ministro della Sanità, Luigi Gui, arrivava sotto il Vesuvio dicendo di essere stato informato di quanto accadeva dalla radio e mentre il capo dello Stato Giovanni Leone faceva visita ai malati al «Cotugno», una folla di curiosi, come trent’anni dopo avrebbe ricostruito sul «Diario» Eugenio Lucrezi, assisteva dal lungomare «alla deriva di quintali di cozze senza padrone, sradicate dai tralicci da chissà chi, che fluttuavano libere su e giù per Mergellina e in balìa delle correnti» mentre i fotografi immortalavano gli allevamenti di frutti di mare dove aggallavano i topi morti.

Sul Mattino, riapparve anche un pezzo della combattiva lettera aperta che la grande Matilde Serao aveva indirizzato in quel 1884 al capo del governo Agostino Depretis: «La strada dei Mercanti, l’avete percorsa tutta? Sarà larga quattro metri, tanto che le carrozze non vi possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello; le case altissime la immergono durante le più belle giornate, in una luce scialba e smorta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato, è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce. In questa strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, v’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio ».

E tutti a dire: ecco, anche oggi è come allora! Basta! Basta! Era questa l’aria che tirava, quando scoppiarono le rivolte di piazza contro le discariche, a partire da quella di Pianura dove la gente organizzò esattamente come oggi furenti blocchi stradali. E fu nella scia di questi moti che il Consiglio Regionale della Campania (nel quale sedeva sui banchi comunisti il giovane Antonio Bassolino) decise di votare una «dichiarazione di urgenza ». E di varare una legge, la numero 23 del 19 novembre 1973, che portava un titolo quasi incredibile, a rileggerlo oggi: «Finanziamenti regionali per la costruzione, ampliamento e completamento di impianti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani». E non si trattava solo, come ricorda Mario Simeone, già capo dell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale, di buoni propositi: per la sua attuazione venne previsto infatti uno stanziamento di 30 miliardi di lire, con i quali i comuni o loro consorzi avrebbero dovuto «costruire i necessari inceneritori nel quadro di un piano regionale di cinque anni di localizzazione razionale degli impianti». All’articolo 9, con minaccioso decisionismo, c’era scritto: «Qualora i Comuni o Consorzi non presentino i progetti esecutivi o non completino le opere nei termini stabiliti, provvede direttamente la Regione alla realizzazione degli impianti». All’opera! All’opera! Cinque anni dopo, al momento del bilancio, non era stata investita seriamente una sola lira. Da allora, mentre si accavallavano emergenze ad emergenze, si sono succeduti 5 presidenti della Repubblica, 9 legislature, 29 governi. E, come se quella legge non fosse mai stata fatta, si è sempre ricominciato da zero.

lunedì 18 febbraio 2008

La sfida nella sfida

Jumaine Jones e Alan Anderson si conoscono perchè hanno giocato assieme in Nba, a Charlotte. I due hanno dato vita a simpaticissimi siparietti nel corso del match. Tutto è iniziato quando JJ ha subito fallo su tiro da 3 e ha sbagliato i primi due liberi. Anderson è andato a sfotterlo, e Jones per dimostrargli di saperci fare ha segnato di tabellone. Cosa che ha provato, con successo, anche in altri momenti del match.
Sesta vittoria interna consecutiva, anche se le cose non s'erano messe benissimo nel primo quarto. Invece nel secondo quarto abbiamo ingranato, trovando bei canestri con Monroe e Jones. Il terzo quarto invece è stato da manuale del basket, segnavamo in ogni modo e abbiamo difeso alla grande, grazie a una prestazione maiuscola di Mike Bernard (3 stoppate). In curva ambiente caldo quando la squadra ha iniziato a ingranare. Ultimo periodo orribile, Bologna (bella la canotta) rosicchia qualcosa ma non ci impensierisce più di tanto. Dietro Scafati vince e quindi il margine è sempre di sei punti.
Post-partita tranquillo, se non fosse che al momento di pagare il conto viene il proprietario del pub a farci i complimenti per le birre che avevamo preso nel corso della serata e per l'ordine in cui le avevamo prese! Mio fratello con la colossale faccia tosta di chi ha appena bevuto un litro abbondante gli chiede se la nostra bravura non meriti uno sconto, e viene puntualmente accontentato.

sabato 16 febbraio 2008

Into the Wild


Visto, finalmente, ieri. Visto che adoro il viaggio e la natura in tutte le sue forme, non poteva non piacermi. Aggiungiamoci anche la colonna sonora di Vedder, che nel film si incastra perfettamente, e il quadro è completo.
Essendo io clamorosamente pigro, vi lascio ancora una volta il link alla recensione di ale, alla quale non mi sentirei di aggiungere molto, in particolare sulla seconda conclusione, quella del rapporto con i genitori. Non l'ho trovato, invece, troppo lungo. Altre considerazioni le evito per non sputtanare il finale a chi non l'avesse ancora visto.
Piccola nota a margine: visto in una saletta da 25 posti con una coppia dietro di me che ha vociato per tutto il film su quanto fosse assurda e poco verosimile la storia. Finisce il film, vedono che è una storia vera e dicono "ah però, figo!". Facendo un paradosso, forse converrebbe proibire la formula "tratto da una storia vera". Sapere che un racconto, una storia non sono realmente accadute ci impedisce di chiudere gli occhi e sognare. Godersi una storia senza troppe pippe mentali.

martedì 5 febbraio 2008

Trasfertina senese

Un simpatico viaggetto, una bella domenica in compagnia. Appuntamento alle 8, viaggio tranquillo fino a Montepulciano. Purtroppo la segnalazione del ristorante non è dei migliori, il vino non è male, si mangia nella norma. Credo che in zona si possa ottenere molto di meglio pagando di meno. Per la cronaca, come antipasto un tagliere di salumi e formaggi. Poi ribollita e pici al ragù. Grigliata mista: bene il vitello, salsiccia molto aromatica, la tagliata è tostariella. Si chiude con cantucci col vin santo e una specie di chiacchiere (o frappe, che dir si voglia). Per gli interessati, il ristorante si chiama Fattoria Pulcino. Ripeto, non si mangia male ma forse era meglio un agriturismo...

Il palazzetto di Siena è pieno, non c'è un bel rapporto tra le due tifoserie ma come ben sapete a me frega solo della partita. Siena parte fortissimo, la differenza è evidente. Piano piano tutti i nostri giocatori hanno problemi di falli, e dalla tripla di Eze seguita dagli airball di Jumaine Jones (ben tenuto da Stonerook nei primi 20') si capisce che non è una gran serata. Thomas passa la sua partita immobile in angolo, chiama il cambio di marcatura anche nei blocchi appena accennati, dopodichè per infortunio (chissà quanto vero) si chiama il cambio. Al riposo non c'è storia, ma nel secondo tempo la situazione cambia. La squadra lotta, segniamo anche canestri con un po' di fortuna, in particolare con Blums e Jones. A -2'30" abbiamo anche la tripla del -5, ma Monroe sbaglia. Peccato, non gli avessimo regalato il primo tempo ce la saremmo giocata fino alla fine. Resta la netta superiorità della MontePaschi, che ha comunque dato l'impressione di poter accelerare quando voleva.

Il ritorno è un po' complicato, all'altezza di Roma c'è una sorta di uragano. A casa stanco ma felice.